Hannya shingyō: il Sutra del cuore

 

Hannya shingyō, un antico esemplare (tempio Daigoji di Kyoto)

 

L’Hannya shingyō, noto in italiano come “Sutra del cuore”, appartiene al canone della Perfezione della Saggezza, composto da circa centomila versi, ed è un conciso testo — 14 versi in sanscrito, 260 caratteri nella versione cinese più diffusa — che racchiude l’essenza dell’insegnamento del buddhismo mahayana.

Composto in India intorno al IV secolo dopo Cristo, è un testo fondamentale, studiato e recitato in ambito zen e tibetano e un po’ in tutta l’Asia Orientale. È considerato estremamente significativo anche dalla scuola shingon giapponese, il cui fondatore, Kūkai, ne scrisse un commento.

L’Hannya shingyō viene quotidianamente recitato alla fine delle sessioni di zazen e lo si può considerare uno dei testi principali a cui si riferiscono tutte le scuole zen.
Recitare l’Hannya shingyō è segno di devozione e genera “meriti”.

 

Hannya shingyō, calligrafia di Koyama Tenshū 小山天舟  (1927-2013)

 


ascolta la recitazione del sutra

 

vedi il video della performance e seminario di shodo.it

 

La pratica calligrafica legata alla scrittura del “Sutra del cuore” costituisce quasi una “disciplina” specifica, a cui si dedicano con regolarità numerosi calligrafi, unendo nella sua esecuzione la ricerca di affinamento tecnico e stilistico ai principi espressi nel testo.



Hannya shingyō in corsivo 草書  (sōsho) di Zhāng Xù 張旭 (675-750).  Scaricala in pdf.

   

Parte centrale dell’Hannya shingyō in scrittura corrente 行書 (gyōsho), nello stile di Wáng Xīzhī 王羲之 (303-361), dalla stele Sheng Jiao Xu  聖教序 . Scaricala in pdf.


Hannya Shingyō  in scrittura normale 楷書 , calligrafia di Ōuyáng xún 歐陽詢  (Xìn Běn 信本, 557-641) .

Hannya Shingyō in reisho, calligrafia di Kishimoto Isoichi.
Hannya Shingyō in tensho, calligrafia di Kishimoto Isoichi.


Hannya shingyō, testo giapponese con furigana

 


L’Hannya shingyō in italiano

 

Immerso nella saggezza suprema davanti a monaci e bodhisattva riuniti, Kannon (Avalokitesvara) bodhisattva della compassione, risponde all’allievo Shariputra insegnando la dottrina del vuoto.

Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure;
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c’è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c’è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell’ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c’è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c’è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra,
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita,
Che dice:
Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!
(andate, andate, andate insieme all’altra sponda, completamente sull’altra sponda, benvenuto risveglio!)

 

Hannya shingyō, calligrafia di Zhào Mèngfǔ 趙孟頫 (1254-1322) in scrittura corrente 行書, suddivisa in sei tavole. Prima tavola.